The LondoNerD Presents: “La straniera”

“Mi ero trasferita a Londra per le ragioni sbagliate, e dovevo imparare a viverci.”

La prima volta in cui mi imbatto nel nome di Claudia Durastanti è alla fine di luglio di due anni fa. Sono pigramente sdraiato su un lettino della spiaggia di Lignano Riviera e sto rileggendo “Il condominio” di J. G. Ballard, romanzo già divorato quando ero adolescente e che ho citato in un post del mese scorso. Ho raccontato la vicenda della Trellick Tower progettata da Ernő Goldfinger e per una pura coincidenza l’articolo è uscito a pochi giorni da uno degli eventi più catastrofici della storia recente di Londra: l’incendio della Grenfell Tower e la morte di 72 dei suoi abitanti.

Durante quel pomeriggio al mare leggo gli ultimi deliranti capitoli del libro e poi lo ripongo nello zaino con estrema lentezza, come per facilitare lo smaltimento della violenza e della follia di quel microcosmo distopico che ho appena abbandonato. Rifletto su come lo stesso romanzo, riletto a distanza di molti anni, abbia rivelato ben altra profondità.

Poi dallo zaino tiro fuori l’iPad e comincio ad allargare gli spunti che il vecchio Ballard ha inoculato nella mia testa con la sua storia. Accade così che mi ritrovo a leggere un post appena uscito su The Catcher, intitolato “La città del Risentimento”. A firmarlo due giovani sconosciuti, Claudia Durastanti (“scrittrice e traduttrice”) e Gianluca Didino (“giornalista e critico letterario”), entrambi italiani e residenti a Londra. Il loro pezzo mi piace molto e da quel giorno comincio a seguirli su Twitter.

E’ così che assisto fin dall’inizio alla nascita del quarto romanzo di Claudia, “La straniera”, pubblicato all’inizio di quest’anno da La Nave di Teseo.

Ed è così che quattro mesi fa, all’inizio di marzo, decido di assistere alla presentazione del libro a Padova.

Ho iniziato a leggerlo la sera precedente e quindi ho all’attivo una trentina di pagina appena. Poco male.

Seduta tra i due moderatori della serata, con uno sgargiante bicchiere di spritz di fronte a sé, Claudia Durastanti esordisce precisando che “La straniera” è un’opera sospesa tra l’autobiografia e l’invenzione, una “bio-mitografia”, per dirla con le parole di un’autrice che ama molto, Audre Lorde, poetessa e attivista americana.

Scrivere un’autobiografia alla soglia dei 35 anni è un fatto singolare ma nel caso di Claudia più che giustificato: dalle migrazioni che ha vissuto (nata a Brooklyn, trasferita in Basilicata all’età di sei anni con la madre e il fratello, poi a Roma, infine a Londra) e dalla presenza di due genitori decisamente “larger than life”.

Claudia Durastanti si è potuta permettere di scrivere un memoir a quest’età per un altro motivo: la capacità di elaborare il suo vissuto, anche quello più doloroso, di fare uno “scavo di sé”, e la risolutezza con cui lo ha riversato in queste pagine utilizzando una dote molto rara di questi tempi, l’ironia. Lo ha fatto con uno stile sicuro, con una scrittura forte e matura.

“La letteratura non ti guarisce ma ti permette di reinventarti”.

Il romanzo parte da un evento a cui Claudia non può per forza di cose aver assistito, l’incontro tra i suoi genitori. Anzi, i due incontri. Perché una ha una versione completamente diversa da quella dell’altro: la madre sostiene di averlo salvato mentre cercava di buttarsi da Ponte Sisto, il padre racconta di averla sottratta da un’aggressione davanti alla stazione Trastevere. Il tocco di finzione, il gusto per la bugia e per l’iperbole che Claudia utilizza nella sua storia nasce dal suo dna, dall’essere figlia di due genitori singolari. Entrambi sordi, impulsivi e spesso sconsiderati. Quasi incuranti della propria disabilità, a cui sembrano non rassegnarsi, vivono liberi e così fanno crescere i due figli, Claudia e il fratello.

L’amore tra sordi non esiste, è una fantasia da udenti. C’è il sesso, l’intimità, ma non quel bisogno. La somiglianza viene prima di tutto.”

Ne “La Straniera” ci sono tre lingue (l’inglese, l’italiano e il linguaggio dei segni, orgogliosamente rifiutato dai genitori di Claudia) e ci sono tre luoghi (Brooklyn, la Basilicata – “un Molise che ce l’ha fatta” e Londra, l’approdo finale nel 2011.

Claudia arriva nella capitale a 27 anni per raggiungere il suo compagno e all’inizio non ha un lavoro, non ha un ruolo, riparte da zero. Lo fa con un’idea romantica della città, alimentata dalle sue letture, dal rock che ha sempre ascoltato e dalla mitologia che questo si porta dietro.

Quest’idea si sbriciola ben presto. Il 2011, poi, è l’anno di Occupy, c’è fermento, c’è aria di ribellione e c’è speranza. Una reazione feroce al proprio tempo da parte di tanti giovani. Poi tutto finisce.

“Sono stata più inglese prima di trasferirmi che non adesso” sostiene Claudia. Capisco perfettamente la sua affermazione, è il motivo per cui ognuno ha dentro la testa, nel proprio personalissimo immaginario, un’idea di Londra che rischia fortissimamente di essere confutata dalla realtà.

Poi Claudia trova la “sua” città ed impara pian piano a viverci. La trova ad esempio in alcuni luoghi che ama profondamente (e sono tre anche questi): il cimitero di Abney Park (ne scriverò presto), il Rio Cinema che proiettava film horror alle due di notte e lo Stockwell Skatepark dalle parti di Brixton.

Al termine della presentazione io e Claudia parliamo un po’ a quattr’occhi, le racconto che il motivo per cui scrivo di Londra non vivendoci stabilmente ma visitandola compulsivamente è proprio il timore di rimanere deluso dalla quotidianità. A questo punto lei trova una definizione azzeccatissima per la mia situazione e la mette nero su bianco nella dedica sul frontespizio: un “migrante potenziale”. Un ritratto perfetto.

Poche settimane dopo, alla fine di marzo, sono a Londra e scopro che la sera seguente “La straniera” viene presentata all’Italian Bookshop di Gloucester Road, un luogo delizioso gestito da una libraia altrettanto deliziosa, Ornella.

La stanza al piano inferiore è stracolma, tanto che alcuni di noi ascoltano seduti sui gradini e altri ancora all’ingresso della libreria, grazie agli altoparlanti. Nelle settimane precedenti ho finito di leggere il libro e adesso colgo ancora meglio il senso di quello che racconta Claudia.

Ho l’impressione che non sia più una “straniera”, che con questo romanzo abbia fatto i conti con i dolori e le ferite. Ha capito che essere stranieri non significa non avere radici ma, al contrario, averne molte. E lo ha fatto a modo suo, con stile e con la giusta dose di sacrosanta ironia.


Claudia Durastanti – La straniera – 2019


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