Il mio vecchio sifone da seltz

Angel Road – Overground: Silver Street


Ritorno a scrivere dopo una pausa di ben sei settimane. Una pausa motivata dal fatto che ho cambiato casa e ho appena terminato il trasloco. Piuttosto impegnativo, a dirla tutta, ma ho letto da qualche parte che il trasloco è la terza causa di stress psicologico nella vita di una persona.

Inevitabilmente, quando si riempiono gli scatoloni, saltano fuori oggetti della cui esistenza ci si era completamente dimenticati e che tornano magicamente a vivere. Nel mio caso posso citare tra gli altri un meraviglioso bersaglio per freccette, racchiuso in una cassetta di legno e dotato di lavagna e gessetti per segnare il punteggio…

Ma l’arnese più interessante, a cui ho deciso di regalare una seconda vita, giaceva da anni nascosto su uno scaffale del garage. Si tratta di un vecchio sifone per il seltz, comprato anni fa in un mercatino dell’usato e subito dimenticato.

La polvere e il passare del tempo avevano un po’ soffocato la brillantezza della sua superficie rosso rubino ma è bastata un’energica passata di spugna e detersivo per riportarlo in pochi minuti agli antichi splendori.

Il mio debole per i sifoni per il seltz è fondamentalmente colpa del tenente Colombo.

Ho visto non so quante volte gli episodi della cosiddetta serie classica, le stagioni andate in onda tra il 1968 e il 1978, e in quasi tutti, prima o poi, c’è la scena seguente: l’assassino, solitamente ricco/a, rincasa pensieroso/a nella propria villa dall’arredamento pacchiano e si dirige immediatamente verso il lussuoso mobile bar del soggiorno.

Qui riempie di ghiaccio il bicchiere (come facevano quei secchielli a non farlo sciogliere e ad essere sempre pronti all’uso è un mistero per me irrisolto), versava una dose abbondante di scotch e poi innaffiava il tutto spruzzando il seltz da un’elegante bottiglia.

Ho sempre sognato di avere in casa un mobile bar, lo confesso, ma immagino che tracannare ogni sera un Tom Collins o un Gin Rickey mi porterebbe in breve tempo sulla strada senza ritorno dell’alcolismo. Quindi mi accontento di possedere un sifone da seltz e di metterlo in bella vista sulle mensole della mia nuova cucina.

Non diventerò certo un collezionista come Richard Strell, “The Seltzer Syphon King”…

… però, dopo averlo riesumato inaspettatamente, mi sono dato due obiettivi: saperne di più sulla sua storia e rimetterlo in funzione. Ecco com’è andata.

Prima di tutto ho scoperto che il mio sifone è inglese al 100%. Per la precisione è un Hostmaster Mark III, un modello prodotto nel 1967 dalla Sparklets Ltd., azienda nata nel 1919 e incorporata successivamente dal colosso BOC (British Oxygen Company).

I primi sifoni della Sparklets erano in vetro, poi nel 1955 si passò all’acciaio inossidabile. Si susseguirono negli anni lo Streamline, molto elegante, poi il primo Hostmaster, seguito pochi anni dopo dal Globemaster, dal corpo rotondo. L’Aquarius, dal look decisamente anni ’70, fu l’ultimo modello, perché nel 1981 la produzione della Sparklets cessò definitivamente.

Per funzionare un sifone per il seltz ha ovviamente bisogno del gas, che viene caricato con dei piccoli bulbi di CO2 da avvitare alla bottiglia. Una minuscola puntina di ferro buca la testa del bulbo e il gas penetra di colpo nel sifone, mescolandosi all’acqua.

Sparklets produceva anche questi bulbi e, a questo proposito, facendo le mie ricerche ho trovato una storia risalente al 1933. La sera del 6 Febbraio un incendio divampò nella fabbrica, che si trovava lungo Angel Road, Upper Edmonton.

Il calore distrusse ben 10.000 sifoni ma soprattutto fece esplodere migliaia di bulbi, che schizzarono in cielo come bombe e piombarono in mezzo alla strada, terrorizzando i residenti e gli automobilisti. Il rumore, dissero i testimoni ai giornalisti, era quello di una mitragliatrice!

Soltanto la prontezza di un fattorino, che si era accorto per primo del fuoco, fece arrivare tempestivamente i pompieri ed evitò guai peggiori.

Proseguendo nelle mie ricerche la cosa più sorprendente è stato scoprire che per almeno un decennio nei bulbi per i sifoni fu introdotto impunemente il gas radon!

Le pubblicità dell’epoca decantano le virtù dell’acqua radioattiva: incremento della vitalità, miglioramento della salute, cura efficace per reumatismi, gotta, nevrastenia, costipazione, etc.

Tutto falso, ovviamente. Un’intera generazione di consumatori fu abbindolata da questi annunci chiassosi e mise a repentaglio la propria salute: dopo alcuni anni si scoprirono infatti i danni causati dal radon e i bulbi per i sifoni furono ritirati dal commercio.

Concluso questo approfondimento sulla storia del mio sifone Sparklets, era giunta l’ora di rimetterlo in funzione.

Per farlo mi sono recato in un negozio del centro di Vicenza dove ero ragionevolmente sicuro di trovare i bulbi per caricare il gas. Così è stato, nel magazzino ne avevano una confezione da 10, invenduta da chissà quanto tempo. Peccato che, nella fretta, non avevo approfondito la questione gas: mancava una cosa fondamentale, un accessorio di plastica in cui il bulbo va infilato e che poi si avvita nella bottiglia.

Introvabile in Italia, l’ho dovuto far arrivare dall’Inghilterra. Tutto sistemato, penserete. E invece no, perché mi sono accorto che a non andare bene adesso erano i bulbi. Mi ero procurato quelli della marca ISI, i più diffusi in Italia, ma il mio Hostmaster Mark III è schizzinoso e accetta soltanto due ditte: Liss e Mosa, ovviamente introvabili nei negozi italiani.

Altro ordine su Amazon e finalmente, tre giorni fa, ecco dalla Germania i bulbi adatti al mio sifone.

Per raccontarvi com’è andata ho pensato di fare un breve video…

L’accessorio di plastica, prima i bulbi errati, poi i bulbi corretti… purtroppo l’esperimento è fallito perché le guarnizioni interne del mio Sparklets, a causa degli anni, si sono evidentemente consumate e non c’è più niente da fare. Potevo immaginarlo, forse, ma valeva la pena spendere qualche decina di euro e provare a far vivere una seconda vita a questo splendido oggetto dei tempi andati.

Non è andata così. Il vecchio sifone da seltz uscito più di cinquant’anni fa dalla fabbrica londinese di Angel Road, giunto chissà come in Veneto, va ora definitivamente in pensione: non mi darà una mano a creare spritz macchiati con Aperol, Campari o Select, come avevo sperato.

Ma, lo prometto, non tornerà mai più in un buio e polveroso garage.


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