Jeremy Bentham, il professore imbalsamato

Gower Street – Tube: Euston Square


Il mio corpo lo consegno al mio caro amico dottor Southwood Smith perché ne disponga nel modo qui di seguito indicato e gli ordino di prenderlo sotto la sua responsabilità e di prendere le misure necessarie e appropriate per la disposizione e la conservazione delle varie parti della mia struttura corporea nel modo indicato nel foglio allegato a questo mio testamento e in cima al quale ho scritto “auto-icona”.

Lo scheletro sarà assemblato in modo tale che l’intera figura possa essere seduta su una sedia abitualmente occupata da me quando sono in vita, nell’atteggiamento in cui sono seduto mentre sono impegnato a pensare nel corso del tempo dedicato alla scrittura.

Dispongo che il corpo così preparato sia trasferito al mio esecutore testamentario. Egli farà in modo che lo scheletro sia rivestito con uno degli abiti neri che occasionalmente indossavo. Il corpo così rivestito, insieme alla sedia e al bastone da me portati in età avanzata, sarà da lui preso in carico, e per contenere l’intero apparato farà preparare un’apposita scatola o teca, e farà incidere in caratteri ben visibili su una targa da apporre su di essa e anche sulle etichette della teca di vetro in cui saranno contenute le preparazioni delle parti molli del mio corpo, il mio nome per esteso con le lettere ob.*, seguito dal giorno della mia morte.

Se dovesse accadere che i miei amici personali e altri discepoli siano disposti a riunirsi in uno o più giorni dell’anno allo scopo di commemorare il fondatore del più grande sistema di morale e legislazione della felicità, il mio esecutore testamentario farà in modo che di volta in volta venga trasportata nella stanza in cui si riuniranno la suddetta cassetta o custodia con il suo contenuto, da collocare in quella parte della stanza che alla compagnia riunita sembrerà opportuna.

Queen’s Square Place, Westminster, mercoledì 30 Maggio 1832.

* dal latino “obitus”, morto

Sette giorni dopo aver firmato questo testamento, il 6 Giugno 1832, il suo autore morì. Si chiamava Jeremy Bentham e aveva 84 anni.

Allegato al documento c’era un foglio contenente le accurate istruzioni per realizzare la sua auto-icona, l’estremo tentativo di mettere in pratica le teorie che aveva perfezionato nel corso dell’esistenza. D’altra parte già nel 1769, all’età di appena 21 anni, Jeremy Bentham aveva redatto una prima versione del suo testamento in cui stabiliva di lasciare in eredità alla scienza il proprio corpo.

Era nato nella City di Londra nel 1748, da un abbiente avvocato e dalla figlia di un ricco mercante. Bambino prodigio (studiava il latino già a tre anni e nel frattempo imparava a suonare il violino), ricevette un’istruzione di prim’ordine, prima presso la Westminster School e poi a Oxford, al Queen’s College. Diventò avvocato ma non esercitò mai la professione del padre.

Era molto più interessato alla filosofia e in pochi anni divenne una delle figure più influenti nel campo della giurisprudenza, della politica e dell’economia.

Fu anzitutto un fiero oppositore del giusnaturalismo e del diritto naturale, retaggi della Rivoluzione Francese e del giacobinismo, che egli definì senza mezzi termini “sciocchezze sui trampoli”. Per tutta la vita lottò inutilmente per imporre una profonda e completa revisione del corpus giuridico inglese (da lui definito “il demone del cavillo”), sottolineando la necessità di una codificazione definitiva e unitaria.

Nel 1786 fece visita al fratello Samuel, che in quel periodo viveva nell’odierna Bielorussia e amministrava grandi fabbriche per conto del Principe Potemkin. Gli operai erano numerosi e non specializzati e per sorvegliarli meglio Samuel aveva costruito un edificio circolare al centro di un complesso più ampio.

Tornato in Inghilterra, Jeremy Bentham, che aveva letto e studiato Cesare Beccaria, concepì un modello di carcere che metteva in pratica l’idea del fratello: il Panopticon.

Si trattava in sostanza di una torre centrale, al cui interno avrebbe vissuto il custode del penitenziario. Tutto intorno sarebbe sorto un edificio circolare contenente soltanto le celle dei prigionieri, separate l’una dall’altra da robusti muri e con due finestre, una rivolta verso il sorvegliante e una verso l’esterno, per far entrare la luce del sole.

Lo scopo di questa disposizione era quello di far sentire i carcerati perennemente sorvegliati da un’unico individuo, inducendoli pertanto a comportarsi con disciplina. La consapevolezza di essere costantemente sotto controllo implicava la dissuasione dal fare del male: dopo anni di reclusione i prigionieri avrebbero considerato tale comportamento come l’unico possibile, modificando pertanto il proprio carattere in modo indelebile. Il Panopticon era “un nuovo modo per ottenere potere sulla mente, in maniera e quantità mai vista prima”.

Non sapremo mai se la teoria di Bentham avrebbe funzionato perché il Panopticon, nonostante gli sforzi del suo ideatore, rimase soltanto un’utopia. Più volte il filosofo fu vicino a veder realizzato il progetto in patria ma, ogni volta, le sue speranze andarono deluse.

Il Panopticon era strettamente legato all’utilitarismo, la concezione filosofica di cui Bentham fu il massimo esponente, secondo la quale l’utilità è il criterio dell’azione morale.

“La misura del bene e del male è la massima felicità del maggior numero di persone.”

Questa frase riassume bene il concetto alla base dell’utilitarismo, che si distingue dall’edonismo perché non considera l’utile immediato derivante dal piacere ma quello più remoto ma costante. Per Bentham, inoltre, non va considerata soltanto l’utilità propria, ma quella del maggior numero possibile di individui.

L’esistenza dell’uomo è un alternarsi di piacere e dolore, che governano tutto ciò che facciamo. Le scelte corrette vanno fatte in funzione del piacere (sia fisico che spirituale) più duraturo e costante e lo Stato deve scrivere leggi che tengano conto di questo aspetto e della felicità del maggior numero possibile di cittadini.

Il concetto di carcerazione, ad esempio, per Bentham non consiste in una mera punizione che potrebbe portare a conseguenze ancora peggiori. Alcune leggi troppo severe, anzi, possono ottenere l’effetto contrario a quello desiderato: invece di eliminare o prevenire gli atti malvagi, ne possono generare altri anche peggiori. La regola è una soltanto: la legge deve perseguire il massimo piacere e il minimo dolore per il maggior numero di cittadini.

Da qui derivano le numerose teorie di Bentham, innovative, spesso sorprendenti e in alcuni casi ancor oggi rivoluzionarie.

Propugnava la libertà individuale ed economica, quella di espressione, la separazione tra Stato e Chiesa, la tolleranza religiosa, il diritto al divorzio, l’uguaglianza delle donne, l’abolizione della schiavitù e la depenalizzazione dell’omosessualità. Soltanto nel 1967 (!) il Regno Unito depenalizzò gli atti omosessuali privati tra uomini di età superiore ai 21 anni, imponendo al contempo pene più severe per i reati di strada.

Bentham, insomma, fu una ventata di aria fresca nell’Inghilterra di due secoli fa.

Non fu il fondatore, come ogni tanto si legge, ma sicuramente uno dei padri nobili dell’odierna UCL, fondata nel 1826, sei anni prima della sua morte.

UCL non sta per Uefa Champions League ma per University College London, università britannica costituita come alternativa laica a quelle di Oxford e Cambridge.

Un affresco di Henry Tonks, commissionato nel 1923, raffigura Jeremy Bentham tra i quattro fondatori dell’istituto.

Per ritrarre Bentham, morto quasi un secolo prima, l’artista non ebbe alcuna difficoltà, perché potè utilizzare un modello molto valido: Jeremy Bentham in persona!

Quando morì, il 6 Giugno 1832, il suo testamento (parte del quale ho riportato all’inizio del post) fu infatti applicato alla lettera.

Il suo cadavere fu sottoposto a dissezione, gli organi espiantati, furono preservati lo scheletro e la testa. Questa subì un procedimento di essiccazione praticato dai Maori in Nuova Zelanda, che però andò tragicamente storto: la pelle rinsecchita e scura aderì orribilmente al teschio.

Fu quindi sostituita con una versione di cera, opera dello scultore francese Jacques Talrich.

Lo scheletro fu rivestito di un’imbottitura di fieno e vestito con gli abiti di Bentham. Come scritto nel testamento, fu fatto accomodare su una sedia appartenuta al filosofo, con il bastone che lui chiamava “Dapple” e il cappello di paglia.

La vera testa fu posta in una teca di vetro e adagiata ai piedi dell’auto-icona. La leggenda narra che gli occhi di vetro che furono ficcati nelle cavità oculari al posto di quelli veri sono gli stessi che Bentham tenne in tasca negli ultimi dieci anni di vita e che ogni tanto mostrava orgoglioso alla gente che incontrava.

Per esaudire la volontà del filosofo un ebanista costruì una vetrina in legno scuro e vetro in cui fu posta l’auto-icona.

Per alcuni anni il bizzarro manufatto rimase nello studio del dottor Southwood Smith, colui che aveva eseguito la dissezione del cadavere, e nel 1850 fu donato all’università, che da allora lo ha sempre esposto per rispettare le volontà di Bentham.

La teca contenente la testa mummificata, che come ho detto era stata posta a terra, tra i piedi del filosofo, non ebbe mai pace e fu il bersaglio di numerosi scherzi e furti perpetrati dagli studenti.

E’ molto inverosimile la storia che parla di partite di calcio con il cranio di Bentham usato al posto del pallone ma pare che nel 1975 alcuni studenti del King’s College la sottrassero e la fecero ricomparire qualche giorno dopo nel deposito bagagli della stazione ferroviaria di Aberdeen, in Scozia. Da allora la testa è stata separata dall’auto-icona ed è custodita al sicuro nei depositi dell’università. Viene mostrata soltanto in rare occasioni.

La vetrina di legno, invece, rimase in un corridoio dell’edificio principale. Fu qui che la vidi io per la prima volta più di 5 anni fa, nell’Agosto del 2018.

Risalgono ad allora le fotografie del mio incontro con Jeremy Bentham.

Chissà perché ho temporeggiato e ho aspettato soltanto oggi per raccontare la sua storia.

Fatto sta che nel frattempo il filosofo ha abbandonato la sua teca in legno e oggi accoglie gli studenti e i professori poco distante, nel nuovo edificio di Gordon Square.

Questa scelta ha suscitato non poche polemiche, perché palesemente in contrasto con le volontà di Bentham: la vetrina in legno era pensata per trasportarlo all’interno dell’università e farlo presenziare alle riunioni dei professori. Nel corso degli anni fiorirono infatti false leggende sulla sua partecipazione silenziosa ai consigli di facoltà, al termine dei quali sarebbe stata annotata nei registri la seguente frase: “Jeremy Bentham – Present but not voting”.

Poi, nel 2013, l’Auto-Icona fu effettivamente trasportata in un’aula dell’università, in occasione del congedo del rettore, Malcolm Grant.

Il professor Jeremy Bentham ebbe la sua targhetta, come tutti gli altri colleghi.

A distanza di quasi duecento anni della sua creazione, l’auto-icona di Jeremy Bentham rimane un attrazione affascinante: è una potente provocazione alla società del suo tempo che dibatteva se fosse più opportuna la sepoltura o la cremazione dei cadaveri; è indubbiamente un contributo alla scienza, un invito ai posteri a donare i propri organi; è l’ultimo scherzo di un uomo che amava stupire; è anche un segno di vanità.

Nel titolo del post ho utilizzato la parola professore, per definire Jeremy Bentham, anche se il filosofo non insegnò nemmeno un giorno della sua lunga vita.

Mi sono basato sulla definizione che lui stesso ha scelto per il suo profilo ufficiale su LinkedIn: “Professor Of Philosophy at UCL”.

La mia richiesta di collegamento è in sospeso, spero verrà accettata.



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