Gli innumerevoli hotel chiamati Bristol

74 Piccadilly – Tube: Green Park


Forse non ci avete mai fatto caso, o forse sì. Ognuno di noi li ha incontrati decine di volte, in ogni parte del mondo. Soltanto in Italia se ne contano almeno 50 e magari qualcuno di voi ci ha trascorso una o più notti. Sto parlando degli alberghi che hanno in comune lo stesso nome: Bristol.

La città omonima, che sorge sull’estuario del fiume Severn, è un posto imperdibile. La visitai qualche anno fa, attratto dalla sua storia musicale (Massive Attack, Portishead e Tricky vengono tutti da qui) e per vedere dal vivo le opere di Banksy. Avevo anche un’altra meta, molto più nerd, di cui mi riprometto di scrivere presto.

Nella lista delle aree urbane più popolate del Regno Unito, Bristol si piazza all’undicesimo posto, con 617.280 anime. Prima di lei ci sono dieci altre località, che vanno da Londra e dintorni (9.787.426 abitanti) a Sheffield (685.368).

In modo apparentemente inspiegabile, però, in giro per il mondo il nome “Bristol” associato ad un hotel compare più spesso di quello delle altre dieci città della classifica messe insieme.

E’ vero, esistono alcuni “Hotel London”, “London Hotel” o “Londra Palace Hotel” (quest’ultimo è a Venezia). Ma non sono moltissimi. Di alberghi dedicati a Glasgow, a Manchester o a Southampton, invece, non c’è quasi traccia.

Al contrario, se ci fate caso, “Bristol” e “Hotel” è un binomio frequentissimo. Ecco una veloce ma significativa carrellata, limitandoci alla sola Italia.

Bolzano
Rapallo
Stresa
Merano
Sottomarina

La domanda sorge dunque spontanea: per quale diavolo di motivo così tanti alberghi hanno scelto e scelgono tuttora di chiamarsi Bristol?

Per dare una risposta bisogna tornare al diciottesimo secolo e raccontare la storia di Frederick Augustus Hervey, quarto conte di Bristol.

Nato nel 1730 nella contea del Suffolk, figlio di un barone, studiò come il padre nella prestigiosa Westminster School e successivamente a Cambridge.

Dopo gli studi e la nomina a cappellano reale, nel 1763 partì per un lungo e sontuoso Grand Tour che gli permise di viaggiare per l’intera Europa e di acquisire un gusto raffinato per l’arte. Sazio, rientrò infine in Inghilterra.

Grazie all’influenza del fratello, nel 1767 divenne vescovo di Cloyne, nella contea di Cork, nonostante il suo totale disinteresse per l’Irlanda.

Un anno dopo fu promosso vescovo di Derry, incarico ben più prestigioso. La notizia gli giunse mentre si trovava a Cloyne, intento a giocare alla cavallina con altri prelati. La leggenda narra che, dopo aver saputo della promozione, gridò loro: “Non salterò più, signori. Vi ho superati tutti e ho saltato da Cloyne a Derry!”

Insediatosi nella nuova sede vescovile, si guadagnò presto la fama di prete più eccentrico, mondano e chiacchierato di tutta la Chiesa d’Irlanda.

Era immensamente ricco e, dopo la morte del padre e di due fratelli che non avevano avuto figli, ereditò anche il titolo di Lord Bristol, trasferendosi a Londra.

Qui costruì una dimora lussuosa, dove teneva feste leggendarie. Spesso invitava a restare per la notte i prelati più grassi e, terminata la cena, li costringeva a rincorrersi a vicenda intorno al palazzo. Se si fermavano a dormire le mogli dei religiosi, spargeva sempre farina davanti alla porta delle camere da letto, per controllare se durante la notte qualcuna di loro si recava di nascosto in un’altra stanza.

Tornava raramente in Irlanda, preferendo i viaggi in Francia e in Italia per comprare opere d’arte. Altrimenti amava visitare le taverne di Londra, dove si ubriacava spesso e volentieri.

La fama di grande viveur e di inguaribile spendaccione del conte di Bristol è all’origine dell’usanza di chiamare gli alberghi con questo nome.

Il primo albergo che scelse questo nome fu il Bristol di Place Vendôme a Parigi, inaugurato nel 1816, 13 anni dopo la morte di Frederick Hervey, avvenuta in Italia.

Nel 1815 erano terminate le guerre napoleoniche, che avevano bruscamente interrotto la tradizione del Grand Tour, e i proprietari degli alberghi speravano di ristabilirla e di ricominciare a fare profitti grazie al turismo dei nobili.

La parola “Bristol”, nelle intenzioni degli albergatori, doveva diventare sinonimo di lusso, raffinatezza, di ospitalità. Se Frederick Hervey fosse stato ancora in vita e si fosse trovato in una qualsiasi città europea, avrebbe senz’altro soggiornato in un Hotel Bristol.

Oggi trovate questo nome in tutto il mondo, da San Francisco a Beirut, dal Brasile (dove si chiama così un’intera catena) a San Pietroburgo.

C’è addirittura chi ha scritto un intero libro per elencarli.

A Londra, invece, non esiste più un Bristol Hotel. Un tempo ce n’era più di uno. L’ultimo a chiudere è stato quello che sorgeva all’angolo tra Piccadilly e Berkeley Street.

Il Daily Mirror del 13 Maggio del 1983 ne parla in un articolo non esattamente lusinghiero.

L’albergo, dove la settimana precedente aveva cenato la Regina Elisabetta, fu multato di 600 sterline per la sporcizia riscontrata durante un’ispezione nelle cucine. Escrementi di topi, scarafaggi morti, polvere ovunque, frigoriferi sporchi e avanzi di cibo.

Lord Bristol non avrebbe certamente apprezzato.


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