Se Londra fosse come Venezia

215 Stoke Newington High Street – Overground: Stoke Newington


Ogni volta ci ricasco e poi mi pento, puntualmente: ebbene sì, ho nuovamente prenotato una stanza d’albergo su Booking. Per pigrizia, per abitudine, per cercare una camera con la cancellazione gratuita (di questi tempi non si sa mai)… insomma, ho inserito i miei dati, quelli della carta di credito e questo fine settimana lo passerò con Silvia a Venezia. Vivere a meno di un’ora di treno da questa città incredibile è un autentico privilegio.

Dunque Booking, dicevo. Pochi istanti dopo aver effettuato la prenotazione, ecco i guai: cominciano a comparire le prime notifiche dall’app. Promemoria, suggerimenti, offerte di imperdibili pacchetti “gondola + cena + calice di prosecco”. E infine la Meraviglia creata dall’algoritmo di Booking:

“Luigi, per esplorare Venezia prenota un’auto a noleggio”

E’ vero che Venezia è anche terraferma e che il centro di Mestre merita forse una capatina ma suggerirmi il noleggio di un’automobile per esplorare i dintorni del mio hotel in Campo Santa Maria Formosa mi sembra un po’ troppo! Senza contare che hanno sbagliato in pieno la foto, con questo turista che scende da un’auto con il volante a destra e ammira un paesaggio brullo, a occhio e croce una landa scozzese.

Dopo aver riso abbondantemente, immaginando un’inedita Venezia con i canali privi d’acqua e ricoperti d’asfalto, mi è tornato alla mente un post che avrei voluto scrivere da tanto tempo e che per un motivo o per l’altro era sempre rimasto nel cassetto.

Ho interpretato il suggerimento di Booking come un segno dall’alto: era giunto il momento di raccontare il mio innamoramento per un prezioso libricino.

Iniziò tutto nel Settembre del 2017, quando durante l’edizione di quell’anno di Pordenonelegge capitai davanti allo stand di Damocle Edizioni, una piccola casa editrice indipendente specializzata in tascabili in doppia lingua e in libri d’artista. La mia attenzione fu attirata da un piccolo volume di una trentina di pagine, il numero 62 di una tiratura limitata di soli 100 esemplari, numerati e cuciti a mano.

Oltre all’indubbia qualità dell’edizione, non potevo non essere conquistato dal titolo: “If London were like Venice”.

Si tratta di un racconto breve comparso per la prima volta sull’edizione di Agosto 1899 del Harmsworth Magazine.

Inizia citando le parole di un quotidiano che racconta un fatto preoccupante. I geologi hanno infatti scoperto che il terreno su cui sorge Londra si è abbassato di ben 20 metri negli ultimi 500 anni e che, se il fenomeno continuerà, la città sprofonderà presto sotto il livello del Tamigi, diventando una seconda Venezia.

A questo punto prende la parola il protagonista, un inglese che ha lasciato la madrepatria nel 1899 e ha vissuto gli ultimi anni in Siberia, lontano dalla civiltà e soprattutto dalla lettura dei quotidiani. Sbarcato a Hull, è adesso in viaggio verso la capitale a bordo di un treno. Il distinto signore che condivide con lui il vagone di prima classe gli svela ciò che vedrà una volta sbarcato a Londra: la città, a seguito dell’alluvione del 1910, è definitivamente sprofondata e le strade sono diventate dei canali. L’uomo si propone di fargli da cicerone.

Comincia così l’incredibile viaggio dei due, che parte dalla “Stazione di Pancras” (proprio così, è scomparso il riferimento a San Pancrazio).

Ci sono soltanto gondole e alcuni battelli a vapore, che hanno sostituito le carrozze trainate da cavalli. E’ scomparso il frastuono del traffico, al suo posto soltanto lo sciabordio dei remi e i canti melodiosi dei gondolieri. Hyde Park ha cambiato nome, diventando il Lago di Hyde.

Poi ecco il Canale del Regente, vagamente somigliante a Regent Street.

Piccadilly Circus ora si chiama Piccadilly Lake.

Her Majesty’s Theatre, su Haymarket, con una gondola in attesa di riportare a casa qualche spettatore di “Captain Swift”, commedia realmente andata in scena tra il 1897 e il 1898.

Horse Guards Parade, circondata dall’acqua.

Infine St. Paul’s Cathedral, maestosa e spettrale.

Gli abili fotomontaggi che accompagnano il testo sono opera di Reinhold Thiele, rinomato fotografo dell’epoca.

Non vi svelo il brillante finale del racconto, che però potete leggere per intero. Ho infatti acquistato una copia originale del Harmsworth Magazine dell’Agosto 1899 e ne ho fatto una scansione.

La quarta di copertina della preziosa ristampa di Damocle Edizioni svela qualcosa sul conto dell’autore, Somers J. Summers. Nato in Scozia intorno al 1874, era un giornalista che aveva lavorato per le testate di Alfred Harmsworth, il celebre magnate della stampa, fondatore del Daily Mail e del Daily Mirror.

Somers J. Summers, continuano le note biografiche, fu redattore delle riviste per ragazzi “Pluck”, “Halfpenny Marvel” e “Union Jack Library”. Queste ultime due sono famose per aver fatto debuttare il personaggio di Sexton Blake, lo “Sherlock Holmes dei poveri”, creato dalla penna di Harry Blyth con lo pseudonimo di Hal Meredeth.

Le notizie su Somers J. Summers si chiudono con l’anno della morte, il 1905, e il luogo della sua sepoltura, il cimitero di Abney Park. Un punto di partenza più che sufficiente per iniziare le mie ricerche.

Nei primi giorni di Gennaio di tre anni fa, mentre mi trovavo a Londra, decisi di cercare la tomba di Summers.

Abney Park è uno dei Magnifici Sette, i grandi cimiteri londinesi aperti nel diciannovesimo secolo per far fronte al preoccupante affollamento dei luoghi di sepoltura adiacenti alle chiese cittadine.

Varcai gli imponenti cancelli di ingresso da Stoke Newington High Street e mi incamminai lungo il sentiero principale. Mano a mano che procedevo i rumori del traffico diminuivano, la Londra di oggi scompariva, lasciando spazio ad un luogo sospeso nel tempo.

Cominciai a percorrere un viale sterrato, delimitato da lapidi sbilenche, che ad un certo punto faceva una dolce curva verso sinistra. Intorno a me soltanto il silenzio, interrotto ogni tanto dal verso di una cornacchia nascosta tra gli alberi.

Lungo la strada vidi tombe di ogni tipo, tutte accomunate dal fatto di essere piuttosto malandate. Ad esempio quella di William Booth, il fondatore dell’Esercito della Salvezza, e della moglie Catherine.

Il sepolcro di Frank e Susannah Bostock, con un leone affranto che veglia su di loro.

Quand’era in vita, Frank C. Bostock aveva certamente dimestichezza con i grandi felini. Li ammaestrava e divenne ricco grazie a loro.

Fu lui a scoprire che i leoni avevano un certo timore delle sedie, a causa delle loro gambe.

Trovai poi una panchina, dedicata a Mally Powell, “la cui spalla fu toccata da Elvis”.

Giunsi infine alla meta: un’ampia porzione del cimitero in cui mettermi alla ricerca della tomba di Somers J. Summers. Le lapidi di Abney Park non sono numerate ma possono essere rintracciate conoscendo il rettangolo di terra in cui dovrebbero trovarsi in base a quanto dice il database del cimitero. Per me era già qualcosa, considerando che dal 1840 in poi si conta che circa 196.843 persone hanno trovato l’eterna dimora lungo questi viali.

Giunto alla sezione K6, la mia ricerca durò almeno un’ora e mezza, non esagero. Più di una volta fui sul punto di mollare, un po’ per il freddo umido e penetrante e un po’ perché molte lapidi erano davvero indecifrabili: il tempo aveva corroso le lettere incise nella pietra, il muschio aveva coperto le lapidi e i rovi rendevano impenetrabili molte zone.

Poi, non so ancora come, la vidi.

Una stele malconcia, su cui comparivano i cognomi Farnworth e Lea.

Girandoci attorno, però, lessi l’incisione sulla faccia posteriore:

In the loving memory of

Somers John Summers

who died October 28 1905

aged 29 years

L’avevo finalmente trovato!

I quotidiani del 1905 (che sbagliano l’età del defunto) raccontano che il povero Somers John Summers se ne andò in meno di 24 ore, a causa di una pleurite che non gli diede scampo. Lasciò una moglie e un figlio piccolo.

Salutai Summers con un inchino rispettoso e lasciai il cimitero di Abney Park, felice di aver reso omaggio all’autore di un divertissement così insolito: Londra con i suoi canali solcati dalle gondole è una bellissima utopia.

Al contrario pensare a Venezia invasa dalle automobili (magari noleggiate dai turisti su istigazione di Booking!) è un incubo che mi perseguiterà a lungo.

Potete acquistare “If London were like Venice” visitando il bookshop di Damocle Edizioni.


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2 thoughts on “Se Londra fosse come Venezia”

  1. Ho letto il libro qualche anno fa, ma “rileggerlo” con thelondonerd è stato illuminante. Come sempre, molto molto bene. 👏🏼👏🏼👏🏼

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