Il mistero del vero studio di Sherlock Holmes

10 Northumberland Street – Tube: Charing Cross


Sabato 31 Luglio 1993. La data è scritta sul retro delle foto, con la grafia di quando avevo quindici anni.

Era l’anno della mia prima volta a Londra, in vacanza studio per imparare l’inglese.

Da almeno tre anni mi era partita la fissa dei libri gialli, si può dire che all’epoca non leggessi altro. Ogni spicciolo della paghetta lo spendevo in edicola (i mitologici Gialli Mondadori e i Classici del Giallo, li compravo a chili!) e prendevo libri in prestito a ripetizione dalla biblioteca del quartiere. Potrei aprire un capitolo (ma non lo farò) su “Detective Library”, la pseudo associazione di cultori del poliziesco che fondai con mio fratello, anche lui contagiato da questa mania.

Comunque, per venire al punto, la sera di Natale del 1990 ricevetti dai miei genitori un regalo che mi rese felicissimo: un cofanetto intitolato “Tutto Sherlock Holmes”.

Non si trattava di un’edizione di pregio, anzi: per poco meno di 20.000 lire Newton Compton Editori aveva condensato, in appena quattro volumi, i quattro romanzi e i 56 racconti scritti da Sir Arthur Conan Doyle. Al settimo cielo per questo regalo, ricordo che prima che finissero le vacanze natalizie li avevo fatti fuori tutti, uno dopo l’altro.

Potete dunque immaginare quale fosse la mia impazienza di visitare il 221b di Baker Street, la dimora di Sherlock Holmes, quando misi piede a Londra per la prima volta qualche anno dopo.

Dopo una mattinata istituzionale, durante la quale visitai con il resto dei miei compagni di viaggio le sale del British Museum, appena dopo pranzo partii per il mio pellegrinaggio laico. Mi tirai dietro un paio di amici, se ricordo bene, appassionati anche loro di gialli e persuasi dal mio fanatismo.

Avevo ovviamente con me la macchina fotografica e soltanto il fatto che avesse al suo interno un prezioso rullino da 24 pose mi impedì quel pomeriggio di scattare a ripetizione.

La prima fotografia la feci quando ero ancora sotto terra, sulla banchina della metropolitana di Baker Street!

Seguirono molte altre. Le due finestre dello studio, con la blue plaque che lasciava intendere che Sherlock Holmes fosse realmente esistito…

… in posa sulla sua poltrona, con la pipa e il deerstalker in testa…

… addirittura un’immagine quasi morbosa del bagno del detective.

A fine giornata il punteggio fu impietoso: 3 fotografie scattate al British Museum e ben 19 a casa di Sherlock Holmes!

Ovviamente ero il ragazzino più felice di tutta Londra, quel pomeriggio. Ero finalmente riuscito ad immergermi di persona in un mondo che avevo immaginato per anni, avevo visto dal vivo i luoghi e gli oggetti di cui avevo tanto letto.

Poi, qualche anno dopo, scoprii un paio di cose che ruppero in parte l’incanto.

Ovviamente non avevo mai lontanamente pensato che Sherlock Holmes fosse realmente vissuto. Visitando il 221b di Baker Street avevo accettato di stare al gioco, secondo la cosiddetta “teoria holmesiana” che sostiene che quanto scritto nel “Canone” (i quattro romanzi e i 56 racconti) corrisponde a verità storica, sia pure romanzata. Questa dottrina afferma che Holmes è realmente esistito, così come il fido dottor Watson. Conan Doyle era semplicemente lo pseudonimo che Watson utilizzava per pubblicare i suoi racconti o, in alternativa, il suo agente letterario. E’ una tesi assolutamente strampalata ma affascinante, un gioco che vale la pena di sperimentare.

La disillusione, invece, arrivò quando qualche anno dopo scoprii due cose: la prima, che il luogo che avevo visitato nel 1993 esisteva da appena tre anni ed era dunque privo di una qualsiasi tradizione; la seconda, che avevo perso l’occasione di visitare “il vero museo” di Sherlock Holmes. Che era ospitato in un luogo insospettabile…

La storia comincia nei primi mesi del 1951, quando il Festival of Britain era alle porte. La Marylebone Public Library decise di creare un’esibizione per celebrare una delle glorie nazionali ed ottenne il supporto della Abbey National, importante società di costruzioni (poi trasformatasi in banca) che all’epoca aveva la propria sede in Baker Street.

L’edificio, inaugurato nel 1932, si chiamava Abbey House e occupava lo spazio compreso tra i civici 215 e 229, dunque anche la fetta di strada in cui nella finzione letteraria si sarebbe trovata l’abitazione del detective.

In quel periodo la ditta aveva dovuto assumere un’impiegata incaricata esclusivamente di ricevere e rispondere alla corrispondenza che arrivava copiosa quotidianamente, indirizzata a “Sherlock Holmes”. Erano richieste di aiuto o lettere da parte di ammiratori, provenienti da tutto il mondo, convinti dell’esistenza del detective.

L’esibizione fu inaugurata il 22 Maggio e durò quattro mesi esatti.

Il pezzo forte era senz’altro la fedelissima ricostruzione dello studio di Holmes in una giornata del 1897, opera dello scenografo Michael Weight, coadiuvato da uno stuolo di appassionati.

Sparsi nella stanza c’erano il violino del detective, la siringa ipodermica per la morfina, un revolver e la scrivania su cui Conan Doyle aveva scritto i romanzi e i racconti, prestata per l’occasione dalla famiglia dello scrittore.

Per capire la maniacalità della messincena basti sapere che ogni mattina un panettiere della zona portava un crumpet appena sfornato, che veniva lasciato con il segno di un morso accanto ad una tazza di thè fumante: lo scopo era quello di dare ai visitatori l’impressione che Holmes fosse appena uscito dalla stanza per iniziare un’indagine.

Ad aumentare la veridicità dell’allestimento c’erano i rumori di fondo, creati in collaborazione con la BBC: il suono delle carrozze e degli zoccoli dei cavalli, la voce di uno strillone, un organo a manovella in lontananza.

Quando il Festival terminò, la mostra (55.000 visitatori nell’arco di quattro mesi) fu smontata e andò in tour, raggiungendo anche New York.

Infine fu acquistata in blocco da Whitbread, che decise di sfruttare il nome di Sherlock Holmes per uno dei suoi locali.

Il pub, “The Sherlock Holmes”, aprì alla fine del 1957 vicino a Trafalgar Square, prendendo il posto di quello che fino a quel momento si era chiamato Northumberland Arms. Prima ancora, quando nel 1892 aveva ancora il nome di Northumberland Hotel, era comparso in una storia di Sherlock Holmes, “L’avventura del nobile scapolo”.

Vi consiglio di andarci e di bere una pinta al bancone, osservando alle pareti le fotografie e i cimeli di cui si occupa ancora oggi la gloriosa “Sherlock Holmes Society of London”.

Salite poi le scale fino al piano superiore. Accanto alla sala da pranzo c’è una stanza in cui non potrete entrare ma che si può osservare nel dettaglio grazie ad un’ampia vetrata.

Troverete lo studio di Sherlock Holmes, lo stesso creato da Michael Weight per la mostra della Abbey House nel 1951!

E’ quasi tutto come allora. Appesa al caminetto, ad esempio, c’è ancora la pantofola persiana in cui Holmes conservava il tabacco per la sua pipa.

E’ tutto deliziosamente vecchio, quasi fuori posto nella Londra del 2020.

Evidentemente il richiamo di Sherlock Holmes sui turisti funziona ancora, se a distanza di 63 anni le cose sono rimaste com’erano…

Lasciato il pub, torniamo in Baker Street. Oggi la Abbey House non esiste più. E’ stata letteralmente sventrata per creare uffici modernissimi, lasciando soltanto la facciata e la torre in stile art déco del 1932.

E il museo al 221b di Baker Street, quello aperto all’inizio degli anni ’90? E’ ospitato in una casa georgiana del 1815 e ogni anno attrae migliaia di visitatori: non sarà certo il mio umile blog a far cambiare loro idea. E forse vale comunque la pena di visitarlo, come feci io da ragazzino.

C’è da aggiungere un’ultima curiosità: il museo occupa in realtà la porzione di Baker Street che sta tra i numeri 237 e 241. Soltanto nel 2005, quando la Abbey National si trasferì, terminò una faida decennale legata a chi fosse autorizzato a ricevere la posta indirizzata a Sherlock Holmes. Oggi, con un’apposita deroga, il museo è ufficialmente al 221b di Baker Street, anche se scombina la sequenza dei civici in quella porzione di strada.

Quello che posso dirvi con certezza è che nella prima metà del ‘900 qui non viveva nessun detective. Chi bussava a questo indirizzo non aveva bisogno di aiuto per risolvere enigmi o per ritrovare preziosi gioielli rubati.

Al numero 239 c’era un’enoteca, la Vintage Wine Lodge, e chi varcava questa soglia lo faceva unicamente per concedersi un bicchiere di vino pregiato.


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