Un buco nell’acqua… ghiacciata

55 Baker Street – Tube: Baker Street


In questi giorni roventi di metà Agosto, con l’Italia intera attanagliata nella morsa di un caldo torrido, ho pensato di portare un po’ di sollievo ai miei lettori rispolverando una vecchia storia fatta di freddo e di ghiaccio.

Ghiaccio tradizionale… e ghiaccio artificiale.

Per entrare nell’argomento bisogna citare prima di tutto un’antica e ormai dimenticata tradizione londinese cominciata nel 7° secolo e sparita agli inizi del 1800.

Le “River Thames Frost Fairs” erano delle fiere che si tenevano un tempo sul letto ghiacciato del Tamigi, con cadenza irregolare. Le cronache riportano alcune date: 695 (la prima frost fair in assoluto, anche se non aveva ancora assunto questo nome), 1608, 1683-4, 1716, 1739-40, 1789 e infine 1814. Poi la tradizione si interruppe.

Tra la metà del XIV e la metà del XIX secolo, infatti, ci fu quella che alcuni studiosi hanno battezzato Piccola Era Glaciale, uno spicchio di secoli in cui sul nostro pianeta si registrò un brusco abbassamento della temperatura media, che causò inverni molto rigidi. A Londra, spesso e volentieri, il Tamigi gelava per alcune settimane durante i mesi più freddi.

Le frost fairs venivano proclamate soltanto negli anni in cui il gelo era particolarmente intenso e sul fiume si formava una lastra di ghiaccio sufficientemente spessa da essere calpestata senza rischi. L’inverno del 1683-84, il più rigido di sempre in Inghilterra, fece gelare il Tamigi per ben due mesi, con uno strato di ghiaccio spesso 28 centimetri.

La fiera di quell’anno fu memorabile. Il letto del fiume era pieno di chioschi e bancarelle, c’erano corse di slitte e carri, gare di bowling, cruenti combattimenti tra tori e cani, cacce alla volpe e il sanguinario cock throwing (il lancio di speciali bastoncini appesantiti contro un gallo legato a un palo). Il tutto avveniva sopra uno spesso strato di ghiaccio, sul quale i londinesi adoravano pattinare.

Il disgelo, a volte, arrivava improvvisamente, causando qualche morto che annegava nell’acqua gelida e parecchi danni.

Nel 1789, ad esempio, lo scioglimento del ghiaccio portò alla deriva un’imbarcazione che era ancorata ad un pub sulla riva del fiume, causando il crollo dell’edificio e la morte per schiacciamento di cinque avventori.

L’ultima frost fair, come dicevo, si tenne nel 1814.

I londinesi rimasero così orfani di un piacevole passatempo: il pattinaggio sul ghiaccio.

Questa pratica, originaria dei Paesi del Nord Europa, è antica di secoli e non nacque come sport ma dall’esigenza della gente di spostarsi rapidamente da un luogo all’altro. Indossando calzature speciali sotto le quali venivano applicate delle lame fatte di osso di bue (e successivamente di legno), il pattinatore poteva percorrere velocemente le superfici ghiacciate di fiumi e laghi.

Il pattinaggio si trasformò in sport soltanto nel 1585, quando il figlio illegittimo del re Carlo II, James Duca di Monmouth, importò in Inghilterra questa novità assimilata durante l’esilio in Olanda. Tra l’aristocrazia londinese il successo fu clamoroso.

Esiste anche una patrona dei pattinatori, l’olandese Santa Liduina di Schiedam, che passò buon parte della vita paralizzata a causa di una caduta sui pattini.

Le agiografie narrano che Liduina, immobilizzata a letto dall’età di 15 anni fino alla morte a 53, praticò un digiuno estremo, ricevette il dono delle stigmate e sviluppò la telecinesi, tanto da raccontare viaggi mai avvenuti in Terra Santa e nella Città del Vaticano.

Torniamo a Londra. La fine della Piccola Era Glaciale comportò il fatto che il Tamigi non ghiacciò più e soprattutto che i londinesi non potevano più praticare il pattinaggio.

Per fortuna, però, tutto questo accadde a metà del 1800, in piena epoca Vittoriana. Un periodo in cui la scienza e la tecnologia stavano facendo passi da gigante.

E infatti comparve l’uomo della Provvidenza. Si chiamava Henry Kirk e di mestiere faceva l’inventore.

Il 2 Novembre del 1841 brevettò il suo “‘Substitute for Ice for Skating and Sliding Purposes”. Il composto non assomigliava affatto al ghiaccio e per prepararlo non si impiegava nemmeno una goccia d’acqua: era fatto di sali, solfato di rame e… lardo di maiale!

Un mese dopo averlo depositato, Kirk mise in pratica il suo brevetto: insieme all’architetto William Bradwell creò la prima pista di pattinaggio su ghiaccio artificiale del mondo nel semenzaio di un asilo in Dorset Square.

Era ampia meno di cinquanta metri quadrati perché il suo scopo era esclusivamente dimostrativo: Kirk e Bradwell volevano attrarre investitori per creare un “Glaciarium” ben più grande.

Dopo una seconda installazione al Colosseum di Regent’s Park, l’attrazione si stabilì al Baker Street Bazaar, un complesso di edifici compresi nell’isolato oggi delimitato da Blandford Street, Rodmarton Street, Dorset Street e Baker Street.

Si trattava di un luogo inizialmente destinato alla vendita di cavalli, poi di carrozze e infine di una grande varietà di merci: stufe, articoli di ferramenta, beni di consumo di ogni tipo.

Non era l’unico mercato di questo genere a Londra ma è rimasto famoso per aver ospitato ai piani superiori la prima sede permanente dell’esposizione di statue di cera create da Madame Tussaud, fino allo spostamento nell’attuale edificio nel 1884.

All’interno del Baker Street Bazaar, Kirk e Bradwell riuscirono nell’intento di costruire una pista di pattinaggio degna di questo nome.

Grande più di 900 metri quadrati, il “Glaciarium and Frozen Lake” era contornato da una scenografia che rappresentava un panorama alpino (il lago svizzero di Lucerna) e rallegrato dalla musica suonata da un’orchestra.

Tra i visitatori che infilarono i pattini al Glaciarium ci fu anche il principe Alberto.

Nei primi tempi l’attrazione ebbe molto successo e il London Skating Club espresse pareri lusinghieri sulla qualità del “ghiaccio” e sulla sua somiglianza a quello autentico. Quando arrivò l’estate e le temperature si alzarono, però, vennero fuori i guai: il surrogato inventato da Kirk emetteva infatti un forte odore di formaggio!

I bilanci del Glaciarium cominciarono a peggiorare, perché la superficie artificiale era costosa da produrre e da mantenere in funzione. Cominciò così una lenta agonia che portò alla chiusura dei battenti il 19 Gennaio 1844.

Londra ebbe di nuovo una pista di pattinaggio su ghiaccio più di trent’anni dopo, con il brevetto del Professor John Gamgee.

Il 7 Gennaio del 1876 aprì il suo Glaciarium in King’s Road, prima sotto un tendone provvisorio e poi, a Marzo, in una sede stabile. Anche questa decorata con un panorama alpino e dotata di una valida orchestra.

Questa volta il metodo di produzione del ghiaccio era più sofisticato: uno strato di cemento, terra, pelo bovino e tavole di legno sopra il quale erano posti dei tubi ovali di rame al cui interno scorreva una soluzione di glicerina, etere, perossido di nitrogeno e acqua. Tutto veniva sommerso dall’acqua, che a quel punto ghiacciava lentamente e così restava fintanto che nei tubi era in circolo il miscuglio di sostanze appena descritto.

Il ghiaccio del Professor Gamgee era autentico e la sua pista riscosse molto successo, tanto da fargli aprire una succursale a Manchester, ma ben presto si palesò un problema: dal ghiaccio si alzava una nebbia fitta e gelida, che infastidiva i pattinatori. Il freddo, poi, era particolarmente intenso.

Il Glaciarium di King’s Road chiuse definitivamente a Dicembre, dopo nemmeno dodici mesi di attività.

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