49 Bankside – Tube: London Bridge

La mia ultima visita a Londra risale ormai alla fine dell’anno scorso, in un fine settimana eccezionalmente caldo, considerando che erano i primi giorni di Novembre.
Con me, per la prima volta, c’era Silvia. Dopo una manciata di ore di sonno, per colpa di uno sciopero dei treni che aveva trasformato il trasferimento da Gatwick al centro in una piccola odissea (ah, le gioie della Brexit!), la mattina successiva al nostro arrivo decidemmo di fare una passeggiata senza troppe pretese lungo il Tamigi, partendo dal nostro hotel in Blackfriars Road e rimanendo sulla sponda meridionale del fiume.
Una camminata decisamente popolare da una ventina d’anni almeno, da quando il London Eye, la Tate Modern, lo Shakespeare’s Globe, lo Shard e tutto quanto gira intorno hanno cambiato faccia a quella che fino a trent’anni fa era la riva meno elegante del Tamigi. Oggi il tratto di fiume che va dal Westminster Bridge fino al Tower Bridge è sempre affollato di turisti, a qualsiasi ora del giorno.
Quella mattina, in maniche corte perché la temperatura invitava a svestirsi, cominciammo la nostra passeggiata dal Blackfriars Bridge, seguendo la direzione del fiume. Ovviamente raccontai a Silvia il motivo per cui accanto al ponte attuale affiorano alcuni pilastri di colore rosso.
Subito dopo comparve sopra le nostre teste l’enorme mole della Tate Modern, che come tutti sanno un tempo era una centrale elettrica alimentata a petrolio e capace di produrre nel periodo di massimo splendore (e inquinamento) ben 1.301 GWh all’anno.

Dopo la Tate Modern, per chi prosegue la marcia verso est, la tappa successiva è invariabilmente lo Shakespeare’s Globe, il sogno divenuto realtà del regista statunitense Sam Wanamaker.
Infastidito da tutte le imitazioni del Globe Theatre che aveva incontrato in patria, non si dava pace del fatto che non ne esistesse nemmeno una a Londra. C’era soltanto una targa all’esterno di un pub, che aveva scoperto durante un viaggio londinese.

Nel 1970 Wanamaker creò una fondazione, cominciò a raccogliere milioni di dollari e dopo anni convinse le autorità inglesi a concedere il permesso per costruire. Il teatro aprì nel 1997, quando il suo visionario artefice era morto ormai da quattro anni.
Come dicevo, chi supera la Tate Modern e raggiunge i cancelli del Globe raramente getta l’occhio verso la fila di modeste case settecentesche, un po’ rientranti e un metro più in basso rispetto al livello del lungofiume.

I pochi passanti che si fermano sono incuriositi dall’edificio centrale, il più alto. Tre piani più un attico, le pareti color crema, la porta d’ingresso di un rosso vivace. Il civico è il numero 49 e la leggenda racconta che questa fu la casa di Sir Christopher Wren nei giorni in cui veniva costruita la cattedrale di St. Paul.
Così almeno conferma la targa, apparentemente antica, affissa accanto alla porta:
“Here lived Sir Christopher Wren during the building of St Paul’s Cathedral. Here also in 1502 Catherine Infanta of Castille and Aragon, afterwards first Queen of Henry VIII, took shelter on her first landing in London.”

In effetti, se ci si avvicina alla casa e le si dà le spalle, la vista sulla cupola di St. Paul è impagabile ed è facile pensare che lo fosse ancor di più tre secoli fa, quando gli edifici intorno alla chiesa erano molto più modesti.
Provate ad immaginare Wren che rincasa dopo una lunga giornata passata in cantiere, sale al primo piano e ammira dalle finestre la bellezza di quanto ha disegnato la sua penna. Sembra di vederlo mentre si compiace e si complimenta con sé stesso.
E invece… e invece nel 2006 uscì un libro di Gillian Tindall, eccellente scrittrice e storica, profonda conoscitrice di Londra.

“The House By The Thames: And The People Who Lived There” è un libro notevole, interamente dedicato al numero 49 di Bankside.
Leggendolo ho scoperto che la storia che tanti mi avevano raccontato, e che si trova pure in qualche libro, era una semplice leggenda. La casa, lo provano i documenti scovati dalla Tindall, fu costruita nel 1710, lo stesso anno in cui terminarono ufficialmente i lavori della cattedrale.

In realtà già il 26 Ottobre del 1708 aveva avuto luogo il “topping out”, ovvero la posa della pietra finale in cima alla lanterna della cupola). Pertanto la storia di Wren è falsa, anche se non del tutto…
E’ probabile che l’architetto, durante i lavori di costruzione di St. Paul, avesse effettivamente dimorato nei paraggi, in un’abitazione oggi demolita vicina all’odierno pub Founder’s Arms. In questa foto mi vedete all’esterno del locale che sorge proprio sul fiume. In maniche corte, come dicevo.

Su questa casa oggi scomparsa era probabilmente affissa una targa che ricordava l’architetto, targa che fu rimossa appena in tempo da Malcolm Munthe, l’uomo che nel 1945 aveva acquistato il numero 49 di Bankside. Questa fotografia del 1946 mostra la facciata dell’edificio, ben diverso da come si presenta oggi: della targa accanto alla porta non c’è traccia.

Munthe la appese poco dopo (o ne fece fare una fintamente antica) e questa decisione probabilmente salvò l’edificio dalle ruspe, dandogli la nobiltà che non aveva. Era stato infatti costruito per essere la dimora di una famiglia di mercanti di carbone e non aveva ospitato Wren né tanto meno Caterina d’Aragona, futura moglie di Enrico VIII.

Negli anni ’30 del secolo scorso fu per qualche anno la residenza di Anna Lee, attrice di Hollywood, e del marito Robert Stevenson, che avrebbe poi diretto Mary Poppins, Un maggiolino tutto matto e Pomi d’ottone e manici di scopa.
Anche James Mason, cicerone dell’imperdibile documentario “The London Nobody Knows”, cadde nel tranello. Al minuto 16:41 è sulle rive del Tamigi e indica il numero 49 di Bankside come la casa di Wren. Sostiene che la facciata è settecentesca ma che all’interno ci siano parti più antiche.
Mason ci regala un prezioso assaggio di Cardinal Cap Alley, l’angusto vicolo che corre proprio accanto alla casa.

Nel 1967, l’anno del documentario, era aperto a tutti. Oggi un robusto cancello di ferro impedisce di metterci piede e di scattare fotografie migliori di questa.

Ma in fondo importa davvero chi abbia vissuto al numero 49? Probabilmente no, questa casa rimane l’edificio più antico di Bankside e ha fatto fiorire una leggenda dura a morire. E questo ci basta.

Ti è piaciuto questo articolo e non vuoi perdere i prossimi? Iscriviti alla newsletter di The LondoNerD: riceverai un avviso via mail ogni volta che un nuovo post sarà pubblicato.
Chissà, magari ci ha abitato il Cristopher Wren di “The mousetrap” di Agatha Christie :-). Comunque molto interessante, grazie!
Colgo anche l’occasione per ringraziarti, di recente ho fatto un viaggio a Londra e grazie a questo sito è stato molto più proficuo ed affascinante… per altro, credo che tu mi abbia attaccato qualche malattia, perché non avevo ancora messo piede sulla scaletta per tornare indietro e già avevo organizzato un’altra “puntata” per settembre :-).
(In occasione del viaggio, ho scritto alcuni articoli sul mio blog riguardo Londra usando anche te come fonte… spero non ti dispiaccia).
Ieri sera mi sono finalmente ricavato il tempo per leggere uno dopo l’altro i tuoi post londinesi e il primo aggettivo che mi è venuto alla mente è stato “CLEVER”! L’intrigo è ben congegnato, ben scritto, pieno di rimandi deliziosi. Ho apprezzato anche la citazione di “Without A clue”, il film che 35 anni fa fece giustizia, rivalutando il dottor Watson a scapito dell’insopportabile Holmes. Grazie per avermi citato, sono felice di aver contribuito con qualche spunto alla tua storia. Quasi quasi ti proporrei di ripostarla (a puntate? tutta intera?) anche sulle mie pagine. Cosa dici?